RACCONTI

Bagheria 6.1 Km

 

La strada scorreva appaiando una torre saracena ad una palazzina incompiuta, subito inseguiti da un silos in metallo stracolmo di grano appena mietuto, ruggente come un padre dietro ad una coppia di fidanzatini di cui una, ovviamente, era la figlia minorenne.

Lei dormiva accanto a me, in silenzio, con un braccio appoggiato sulla testa, come in un gesto di disperazione, di quelli propri dei funerali arabi quando si capisce che il presunto morto ha smesso di presumere ed è veramente morto.

“BAGHERIA 6.1”, era quello il cartello che interrompeva l’intercedere voluttuoso degli oleandri bianco smeraldo, mentre Monte Pellegrino alle nostre spalle iniziava la sua opera d’omologazione con il territorio, sparendo sempre più velocemente dietro ogni curva appena percorsa. Una frenata dell’autista rischiava di interrompere bruscamente questo scritto, magari sul culo di un camion OM, di quelli estinti da Roma in su, non lasciandomi la possibilità di leggere con passione l’agognato ” BAGHERIA 5.1”.

E qualcuno intanto posava mattoni, sfrecciando velocemente ad altezza del tetto dell’autobus inviperito, prestando attenzione ad osservare chi transitava dentro il mezzo per avvistare qualche parente di ritorno dal Canada e, magari, scorgendomi per un attimo, un povero pirla, in quanto sicuramente milanese, con un portatile in grembo, vicino ad una donna dormiente con la bocca socchiusa. Magari si sarà chiesto se fosse stata la donna addormentata a spingerlo a scrivere, o se la stessa donna si fosse addormentata in quanto lui scriveva.

“BAGHERIA 4.1”, ma poi perché .1, forse per dare la possibilità al viaggiatore poco convinto di scendere in quei cento metri prima che l’evento del chilometro si potesse compiere.

“ATTENZIONE FORTE VENTO LATERALE”: e chi se ne frega. Attraversavamo un viadotto sul fondo del quale si appoggiavano delle casette abusive, all’ombra della crosta giallastra siciliana. Ottimo posto in cui vivere, magari durante un’alluvione o una forte nevicata. Forse però questi non erano problemi siciliani, ma solo pensieri esportati che mi soggiogavano da un altro mondo e che, se espressi, avrebbero creato le solite facce bovine, con sorriso alludente alla stupidità di chi avrebbe potuto imbarcarsi in queste riflessioni, nella fattispecie io. Meglio non rischiare, che si godano pure le loro fottute case nel canalone, con iguane e coccodrilli. Del resto agognato è l’ipotetico stato di calamità naturale, fonte di sostentamento per innumerevoli generazioni.

BAGHERIA 3.1, quanta poesia in quel cartello di metallo rovente, blu schiantato dal sole. Appena arrivo mi metto al sole, si, al sole, tanto già puzzo un po’ per il viaggio ormai quasi terminato. Potrei decidere di concludere degnamente la fermentazione già in corso, almeno potrei lavarmi a fondo con più soddisfazione. Intanto quello psicopatico dell’autista decideva di chiamare il suo amico Salvo con il telefonino e trentacinque persone sull’autobus: bravo, ragazzo.

BAGHERIA 2.1, la meta era ormai calda: 2.1, forse ormai solo 2, mi separavano dall’amata Bagheria, cento metri, una riga, venti righe, due chilometri. Forza, diamoci sotto, ancora diciannove righe e sarò arrivato. Il volante dell’autista era molto impolverato e targato SCANIA, una marca sconosciuta ai più.

“Ciao, dove lavori?”

“Ah non lo sai? Alla SCANIA, nei pressi di Bagheria. Come, non la conosci? Ma dai, quella che faceva i volanti di plastica impolverata degli autobus senza aria condizionata che percorrevano tratti siciliani dal capoluogo a paesi quasi scomparsi che si chiamano Ferrarello, Trabbia, Tremonzelli, Resuttano, Petralia, Alia, Alimena, Aliminusa. Come non la conosci?”

BAGHERIA 1, avevamo perso i cento metri, tanto importanti per chi voleva scappare, scendere in tempo. Ormai i giochi erano fatti, Bagheria sarebbe diventata sempre più grande, si sarebbe impossessata dell’orizzonte e, in preda ad un delirio edilizio selvaggio, ci avrebbe accolto con le sue pale di fichidindia verde smeraldo, proponendoci strade bianche e non asfaltate. BAGHERIA 0.3, ormai era finita. Eravamo arrivati a Bagheria, oddio, lo svincolo giusto incombeva su di noi, ma l’autobus non decelerava. Frena scellerato, maledetto schiavo dell’UMTS, decelera, approfitta, esci allo svincolo dell’agognata meta, lasciati andare agli sfarzi di Bagheria, alla sua opulenza, ai suoi bar e ai suoi arancini rotondi, ti prego.

Superammo impunemente Bagheria. Io però, di fatto, non ero diretto a Bagheria, in realtà non vi ero mai stato, nulla avevo a che fare con il paese delle tabelle azzurrate. Io andavo oltre. Certo che una puntatina a Bagheria non l’avrei disdegnata, però…pazienza.

SCILLATO 6.1…